Quello che ti separa da ciò che desiri sei solo tu
di Sumi
La prima volta che mi sono interrogata seriamente su chi volessi diventare, è stato verso la fine del liceo. Vi confesso che non sono mai stata una di quelle bambine con le idee chiare da sempre, perché di idee ne ho molte e per anni ero convinta che potessi sceglierne solo una. Come unico criterio avevo la probabile risposta alla domanda “ma mi accetteranno con il velo?”.
Pormi quel quesito penso sia stato uno degli errori più grandi della mia vita. Mi sono ridotta all’apparenza, anzi a come appaio, come se fossi solo quello. Non sono in grado darvi una spiegazione dettagliata del motivo per il quale ho reso questo cattivo servizio a me stessa, quello di cui sono certa è che quando esiste una sola narrazione dominate di te, per quanto tu possa essere sicura che non corrisponde affatto alla realtà, quella rimane scolpita nel tuo immaginario come il modo in cui la maggioranza ti vede e ti percepisce. Se sei solo ed esclusivamente narrata come un fenomeno esterno, qualcuno che non appartiene al tutto di qui, finisci per crederci. Ancor di più quando quel tutto viene stereotipato nei minimi dettagli e può avere solo una serie di nomi e cognomi, è pragmaticamente di un credo solo e fisicamente lo si descrive in una serie finita di modi che non corrispondono affatto a tuti tratti somatici che gli esseri umani portano. Vi sto raccontando tutto questo perché so per certo di non essere l’unicaad essersi sentita così.
Non so dirvi quando ho iniziato a riappropriami della mia narrazione e neanche il momento in cui ne ho acquisite le capacità. Ricordo per certo di avere iniziato a leggere storie diverse e a riflettere di più sul significato delle parole. Cosa ne ho estrapolato è che non sono mai emigrata da nessuna parte, non ho mai avuto bisogno di integrarmi nella società occidentale e mai ne avrò perché è l’unica società in cui io abbia mai vissuto. Così, ho capito non esiste un solo modo di appartenere al tutto, la nostra diversità è il garante dello stato di libertà in cui viviamo. Realizzare tutto questo mi ha dato il coraggio di credere in tutte quelle idee che avevo, di credere nei miei sogni e la forzaimmaginarmi in spazi dove non ho mai visto persone come me. Quello che la scuola non è riuscita ad insegnarci, ma ci ha sempre raccontato molto timidamente è che la storia è fatta di persone che hanno avuto l’audacia di prendere posto a tavoli, dove per loro non era mai stato designato posto e ridefinire gli standard ingiusti che qualcun altro aveva posto per loro. Perché il talento non ha nulla a che fare etnie, religioni o appartenenze politiche e frutto di impegno e duro lavoro, ma prima di arrivare ad impegnarsi, bisogna dimenticare quello che pensano gli altri, mettere da parte qualsiasi scenario futuro incerto e credere di potercela fare.
Autrice: Coveredinlayers